Immagine disegno stilizzando di una eco. Simbolicamente rimanda al tema dell'articolo riflessione: l'eco silenziosa della dipendenza digitale.
L’eco silenziosa della dipendenza digitale
Disegno di un mazzo di fiori i cui petali vengono portati via dal vento, immagine simbolica per la Riflessione: Paura di amare.
Paura di amare
Immagine disegno stilizzando di una eco. Simbolicamente rimanda al tema dell'articolo riflessione: l'eco silenziosa della dipendenza digitale.
L’eco silenziosa della dipendenza digitale
Disegno di un mazzo di fiori i cui petali vengono portati via dal vento, immagine simbolica per la Riflessione: Paura di amare.
Paura di amare

FOMO: quando la paura di perdersi qualcosa ci fa perdere noi stessi

FOMO articolo de Il mondo di Anna: disegno ruota panoramica dall’esterno, che evoca un senso di percepita esclusione dal divertimento

C’è una strana sensazione che spesso non ha nome, ma che molti adolescenti e non solo, conoscono bene. È quel piccolo nodo allo stomaco quando scorri le storie degli altri, quando vedi volti sorridenti a una festa a cui tu non sei stato invitato, o quando leggi commenti sotto un post che ti fanno capire che “qualcosa è successo” e tu non c’eri.

Si chiama FOMOFear Of Missing Out. Ma forse, più che la paura di perdersi qualcosa, è la paura di non essere abbastanza.

Questa sensazione non arriva sempre con forza, a volte è solo una sottile malinconia. Un dubbio: “Sto vivendo meno degli altri?”
Ma, piano piano, può diventare una voce costante, un giudice silenzioso che paragona tutto ciò che fai con ciò che fanno gli altri. Ogni scelta personale, stare a casa, leggere, non postare nulla può sembrare improvvisamente sbagliata. Come se, non partecipando, ti stessi tirando fuori dal mondo. Come se esistere, oggi, volesse dire esserci ovunque e sempre.

Il paradosso è che questa corsa per non sentirsi soli, spesso ci rende ancora più soli.
Ci si connette a tutti, ma non si sente nessuno. Si è presenti ovunque, ma non si è davvero da nessuna parte. L’ansia di essere esclusi diventa un’abitudine, una lente con cui si guarda tutto. E ogni volta che ci sentiamo “fuori”, qualcosa dentro ci dice che non valiamo abbastanza, che gli altri sono migliori, più amati, più interessanti. 

La sensazione che si scopre è quella di essere sempre un passo indietro rispetto a dove dovremmo essere, un po’ più lontani da ciò che gli altri stanno vivendo, facendo, realizzando. Non si tratta semplicemente di invidia o insicurezza, ma di un fenomeno psicologico e culturale che ha preso forma in una società iperconnessa, dove l’esperienza vissuta è inscindibile da quella condivisa.

Oggi, la vita non accade più solo nel privato dell’esperienza, ma si proietta immediatamente nel pubblico della narrazione. I social media hanno riscritto i confini dell’identità: siamo ciò che mostriamo, e ciò che non mostriamo rischia di non esistere affatto. In questo nuovo ecosistema, il confronto è immediato, globale, continuo. Non c’è tempo per sedimentare un’esperienza prima che venga confrontata, giudicata, misurata con quella altrui. E se gli altri sono sempre in movimento, tra viaggi, eventi, relazioni, successi, l’immobilità personale o anche solo il silenzio diventa sospetta. Sembra che vivere bene non sia più sufficiente: bisogna anche apparire di star vivendo meglio degli altri.

Il paradosso è che questa pressione non nasce da un potere esterno autoritario, ma da una rete di piccoli gesti quotidiani: uno scroll sul telefono, una storia su Instagram, una notifica che ci informa di qualcosa a cui non stiamo partecipando. La FOMO si insinua nei vuoti tra ciò che desideriamo e ciò che vediamo. Ma più ancora, si insinua nella nostra difficoltà a stare nel presente, senza il bisogno costante di convalidarlo attraverso lo sguardo altrui.

Il fenomeno tocca tutti gli ambiti della vita: dal lavoro alle relazioni, dalla cultura al tempo libero. Non è più solo la paura di perdersi una festa o un viaggio, ma quella, più profonda, di essere esclusi dal flusso stesso del significato. Si teme di perdere occasioni professionali, di restare indietro nel proprio percorso, di non cogliere il “momento giusto” per fare qualcosa. Perfino l’amore diventa spesso oggetto di confronto: coppie sorridenti, proposte perfette, intimità scenica. Tutto appare più autentico di quanto, forse, non sia. Ma anche se si sa che è una messa in scena, non si riesce a non sentirsi fuori posto.

Questo stato d’animo non nasce dal vuoto, ma da un contesto culturale che ha reso la visibilità un metro di valore. In passato, l’appartenenza si costruiva nei piccoli legami quotidiani, nei silenzi condivisi, nella lentezza. Oggi l’appartenenza è algoritmica, determinata dall’engagement, dalla risposta immediata, dalla continua presenza nel feed digitale. Eppure, proprio questa sovraesposizione sta generando una nuova forma di solitudine, paradossalmente più profonda, perché affollata. Non si è mai soli, eppure ci si sente spesso esclusi.

E così, la FOMO non è più solo un comportamento, ma un modo di sentire. Un riflesso automatico che ci fa dubitare delle nostre scelte, che ci impedisce di goderci davvero il momento in cui siamo, il tempo in cui esistiamo. Diventa una fame mai sazia di presenza, di conferma, di inclusione.
Eppure, la vera appartenenza, quella che cura, non nasce da dove siamo o da cosa facciamo, ma da come ci sentiamo con noi stessi. Imparare a stare anche fuori, a stare soli, a stare dentro di sé, è forse la risposta più difficile, ma anche la più necessaria. Perché non sempre bisogna esserci per valere. E non sempre essere esclusi significa essere sbagliati.

A volte, è proprio nel silenzio, nella mancanza apparente, che impariamo a riconoscerci davvero.

 

La FOMO non è solo un sintomo individuale, ma uno specchio collettivo. Ci racconta di una società che ha smarrito il diritto al margine, alla pausa, al disinteresse. Dove tutto deve essere partecipato, performato, monetizzato, e dove il tempo libero è diventato anch’esso un territorio di produzione e rappresentazione. La sensazione di non fare abbastanza, di non vivere abbastanza, di non essere abbastanza, è diventata la norma, alimentata da una cultura che misura l’esistenza in termini di presenza pubblica, piuttosto che di profondità vissuta.

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Annalisa Manduca
Annalisa Manduca
Giornalista, conduttrice radiofonica e conduttrice televisiva.