Essere in armonia nella vita
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Nel cuore del disagio giovanile: hikikomori e autolesionismo

Illustrazione di un piccolo pesce intrappolato in un sacchetto di plastica trasparente, simbolo di isolamento e fragilità.

Negli ultimi decenni, sempre più giovani si trovano a vivere esperienze di isolamento e sofferenza difficili da comprendere e affrontare. Due fenomeni, diversi ma strettamente collegati, riflettono un malessere profondo: l’hikikomori e l’autolesionismo.

L’isolamento sociale, spesso invisibile agli occhi di chi non lo vive, diventa una corazza che avvolge il cuore, lasciando spazio a sentimenti di vuoto, tristezza e solitudine.
Questa solitudine può trasformarsi in un percorso doloroso, dove l’autolesionismo appare come un tentativo di ritrovare controllo e presenza in un mare di emozioni travolgenti. È un messaggio silenzioso, un modo di comunicare un dolore che fatica a trovare parole, un gesto che dice: “Aiutami, sono qui, ho bisogno di ascolto.”

Chi sono gli hikikomori?

Il termine “hikikomori” deriva dal giapponese e indica persone, spesso giovani, che scelgono di isolarsi dal mondo esterno per mesi o addirittura anni. Rimangono chiusi nella propria stanza, evitando contatti sociali, scuola, lavoro e, a volte, persino la famiglia. Si tratta di un fenomeno complesso, che può avere molte cause: pressioni sociali, insicurezze, problemi di salute mentale come depressione o ansia, traumi passati. Non è semplicemente un ritiro temporaneo, ma una risposta a un dolore profondo, alimentato dalla percezione di non riuscire a soddisfare le aspettative esterne o interne.

L’autolesionismo: un modo per affrontare il dolore

L’autolesionismo è un comportamento in cui la persona procura intenzionalmente danni a sé stessa, come tagli, bruciature o altre forme di autoffesa. Spesso chi si autolesiona lo fa per gestire un dolore emotivo intenso, per sentirsi vivo o per esprimere un disagio che non riesce a comunicare con le parole. Per molti giovani, diventa una valvola di sfogo per restituire un’illusione di controllo in un mondo percepito come schiacciante. Tuttavia, questa dinamica rischia di trasformarsi in un circolo vizioso, alimentando senso di colpa, vergogna e sofferenza. Dietro a hikikomori e autolesionismo si nasconde spesso una difficoltà complessa e stratificata. Le sfide giovanili, troppo spesso banalizzate, sono realmente pressanti: aspettative scolastiche e familiari, difficoltà legate all’identità, paure sul futuro, fragilità emotive non sempre riconosciute o trattate. Il senso di inadeguatezza, la paura del fallimento, la mancanza di sostegno o di ascolto possono generare solitudine e disperazione. Per alcuni, il ritiro sociale diventa una difesa, l’unico modo percepito per proteggersi da un dolore che sembra insopportabile.

Affrontare queste situazioni richiede sensibilità, competenza e un approccio multidisciplinare. Non esistono soluzioni semplici: servono professionisti della salute mentale, reti di supporto sociale e, quando possibile, il coinvolgimento delle famiglie. È quindi fondamentale creare un ambiente proattivo, aiutando le persone a sentirsi accolte e a riacquisire fiducia in se stesse. Non si tratta solo di intervenire sui comportamenti visibili, ma di entrare in empatia con le emozioni e le paure di chi soffre. Occorre riconoscere che spesso queste scelte sono segnali di un disagio molto più grande, che necessita di attenzione, ascolto e supporto. Dietro ogni gesto c’è un cuore che necessita di essere visto, compreso e accolto. Solo così è possibile spezzare il ciclo dell’isolamento e restituire speranza in un futuro più luminoso.

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Annalisa Manduca
Annalisa Manduca
Giornalista, conduttrice radiofonica e conduttrice televisiva.